30 anni fa la morte del giudice Paolo Borsellino e della sua scorta

19.07.2022

19 Luglio 1992, trent'anni fa, venne spezzata la vita del giudice Paolo Borsellino in un attentato esplosivo. Persero la vita anche gli agenti della sua scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto l'agente Antonino Vullo, che stava parcheggiando una delle auto al momento dell'esplosione.

PREPARATIVI, APPOSTAMENTI E LA STRAGE

Durante la prima settimana di luglio, Giuseppe Graviano (capo della Famiglia di Brancaccio) compì un primo sopralluogo in via Mariano D'Amelio insieme al suo autista Fabio Tranchina, chiedendogli di procurare un appartamento nelle vicinanze. La notte dell'8 luglio, Gaspare Spatuzza e Vittorio Tutino (mafiosi di Brancaccio) rubarono in via Bartolomeo Sirillo una Fiat 126 color amaranto, su incarico di Cristofaro Cannella (braccio destro di Graviano). L'auto appena rubata venne portata in un magazzino a Brancaccio, dove Spatuzza custodiva anche alcuni fusti di metallo contenenti esplosivo militare del tipo Semtex-H (miscela di PETN, tritolo e T4) ricavato da residuati bellici ripescati in mare. L'11 luglio, l'auto venne spostata in un garage a Corso dei Mille, dove un meccanico di sua fiducia riparò i freni e la frizione danneggiati.

L'esplosione causò inoltre, danni gravissimi agli edifici ed esercizi commerciali della via, danni che ricaddero sugli abitanti.
Via D'Amelio dopo la strage
Via D'Amelio dopo la strage

Salvatore Biondino, insieme ai due cugini omonimi Salvatore Biondo (detti "il corto" e "il lungo") e a Giovan Battista Ferrante (mafiosi di San Lorenzo), procedettero alla prova del telecomando e delle trasmittenti che dovevano essere utilizzate nell'attentato (procurate da un commerciante incensurato) presso Villa Ferreri, una residenza abbandonata del '700 nei pressi del quartiere Tommaso Natale che veniva usata come deposito di armi della"famiglia".

Tra il 13 e il 14 luglio, Raffaele Ganci e il figlio Domenico andarono a trovare il nipote Antonino Galliano, impiegato come guardia giurata presso una filiale della Sicilcassa ed "uomo d'onore" della Famiglia della Noce, per incaricarlo di effettuare, la domenica successiva, il pedinamento di Borsellino, come già aveva fatto con Falcone durante la strage di Capaci. In quegli stessi giorni, Spatuzza venne convocato da Giuseppe Graviano, che gli diede indicazioni per rubare le targhe da apporre sulla Fiat 126. Inoltre, sempre durante quei giorni, Graviano compì un secondo sopralluogo in via D'Amelio, sempre insieme a Tranchina, chiedendogli se avesse trovato l'appartamento che gli aveva chiesto in precedenza: alla sua risposta negativa, Graviano ebbe a dire che "allora si sarebbe messo comodo nel giardino".

Il 16 luglio, Giovanni Brusca si mise a disposizione di Biondino per l'attentato ma lui gli disse di essere già "sotto lavoro" e di non avere bisogno del suo aiuto. Lo stesso giorno, Biondino intimò a Ferrante di non allontanarsi da Palermo la domenica successiva per andare a mare poiché ci sarebbe stato "del da fare". Due giorni dopo anche Ganci informò Cancemi che l'attentato sarebbe avvenuto domenica durante una visita del magistrato alla madre e che Biondino aveva già messo a punto ogni dettaglio per l'esecuzione.

La mattina del 18 luglio, Spatuzza e Tutino andarono a comprare da un elettrauto a Corso dei Mille due batterie per auto e un'antennina da collocare sull'autobomba; poi, nel primo pomeriggio, andò a lasciare la Fiat 126 e l'attrezzatura acquistata in un garage di via Villasevaglios, dove notò la presenza di Francesco Tagliavia, Lorenzo Tinnirello (entrambi mafiosi di Corso dei Mille) e di una terza persona rimasta sconosciuta, ma andò via subito dopo la consegna. Nello stesso pomeriggio, Spatuzza e Tutino rubarono anche le targhe da un'altra Fiat 126 nella carrozzeria di Giuseppe Orofino a Corso dei Mille e, successivamente, Spatuzza consegnò le targhe a Graviano presso il maneggio dei fratelli Salvatore e Nicola Vitale (mafiosi di Roccella; Salvatore Vitale abitava in via D'Amelio e quindi spiava i movimenti di Borsellino. Sempre nella giornata del 18 luglio, Biondino diede a Ferrante un bigliettino su cui era annotato un numero di cellulare (che risultò essere utilizzato da Cristofaro Cannella) al quale comunicare gli spostamenti di Borsellino e gli diede appuntamento per la mattina successiva.

Alle prime ore del mattino del 19 luglio, Tranchina accompagnò Graviano (che aveva pernottato a casa sua) ad un appuntamento che aveva con Cristofaro Cannella e poi andò al mare con i suoi familiari, lasciandoli insieme per tutta la giornata. Alle ore 07:00 del mattino, i mafiosi delle Famiglie della Noce, Porta Nuova e San Lorenzo iniziarono il "pattugliamento" intorno a via Cilea (dove abitava Borsellino) e a via D'Amelio: una prima autovettura con a bordo Biondino e Biondo "il lungo", una seconda con Cancemi e Raffaele Ganci mentre Galliano, Ferrante, i fratelli Domenico e Stefano Ganci si muovevano singolarmente, a volte anche a piedi.

Siccome il magistrato non si recò dalla madre in mattinata ma andò con la famiglia nella villa al mare a Villagrazia di Carini, il pedinamento venne sospeso e riprese nel primo pomeriggio, senza la presenza di Galliano, che andò al lavoro, mentre Ganci e Cancemi si recarono ad attendere l'esito dell'attentato a casa di un loro fiancheggiatore. Alle ore 16:52, Ferrante, che si trovava in una traversa di Viale della Regione Siciliana, chiamò da una cabina telefonica il numero annotato sul bigliettino, segnalando il passaggio delle tre auto blindate di scorta che stavano portando Borsellino in via D'Amelio.

Il 19 luglio 1992, alle ore 16:58, la Fiat 126 rubata contenente circa 90 chilogrammi di Semtex-H telecomandati a distanza, venne fatta esplodere in via Mariano D'Amelio al civico 21 a Palermo, sotto il palazzo dove all'epoca abitavano Maria Pia Lepanto e Rita Borsellino (madre e sorella del magistrato), presso le quali il giudice quella domenica si era recato in visita; l'agente sopravvissuto Antonino Vullo descrisse così l'esplosione: <<Il giudice e i miei colleghi erano già scesi dalle auto, io ero rimasto alla guida, stavo facendo manovra, stavo parcheggiando l'auto che era alla testa del corteo. Non ho sentito alcun rumore, niente di sospetto, assolutamente nulla. Improvvisamente è stato l'inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L'onda d'urto mi ha sbalzato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c'erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto>>

L'esplosione causò inoltre, danni gravissimi agli edifici ed esercizi commerciali della via, danni che ricaddero sugli abitanti.


Gli agenti di scorta ebbero a dichiarare che la via D'Amelio era considerata una strada pericolosa in quanto molto stretta, tanto che era stato chiesto alla Questura di Palermo di vietare il parcheggio di veicoli davanti alla casa, richiesta rimasta però senza seguito.

La morte del magistrato avvenne esattamente 57 giorni dopo la Strage di Capaci dove perse la vita il suo amico e collega Giovanni Falcone.